La diversità come sinonimo di uguaglianza. La disabilità come sinonimo di capacità

La diversità come sinonimo di uguaglianza. La disabilità come sinonimo di capacità

Il pensiero di Andrea Secchi, Circular Economy & Sustainability Account Executive di Aida Partners. 

Sono 785 milioni le persone con disabilità in età lavorativa nel mondo. Il lavoratore disabile ha un rischio doppio di essere licenziato rispetto ad un lavoratore senza disabilità e la sua remunerazione è inferiore del 21%.

 

In Italia le persone disabili sono più di 4 milioni, di cui 1,5 milioni in età lavorativa, con un tasso di disoccupazione dell’80%.

 

Il diritto al lavoro delle persone con disabilità è ancora disatteso, nonostante la legge n. 68 del ‘99 (e successive modifiche) sul collocamento mirato. I dati dell’Istat non sono confortanti: la quota di occupati tra le persone con disabilità è appena dell’11,1%, a fronte del 55,2 % nel resto della popolazione e ci sono ancora troppe aziende nel nostro Paese che preferiscono pagare multe piuttosto che assumere.

 

Ad esempio, nel solo 2017 sono state più di 500 le aziende in Italia che non hanno rispettato la legge sul collocamento mirato. A fine 2016 sono state quasi 1.200 le mancate assunzioni per 20 milioni di euro di sanzioni.

 

Si parla molto di sostenibilità ambientale ma ancora poco di sostenibilità sociale nonostante l’estrema importanza di questi temi, soprattutto oggi. Una persona disse che è più facile sbarcare sulla luna che diventare un’impresa sostenibile. Beh, qui siamo ai livelli dello sbarco su Marte per quel che riguarda il Diversity, e soprattutto per l’inclusione di persone disabili in azienda.

 

Una domanda che sorge spontanea è: come fare a invertire il trend e perché?

 

I LAVORATORI DISABILI SONO UNA RISORSA 

Ci dovrebbero essere delle parole chiave per guidare le aziende verso un’evoluzione e un cambiamento di paradigma. Per rimanere in tema di spazio e sbarchi su pianeti extraterrestri “è un piccolo passo per l’uomo, ma un grande passo per l’umanità”.

 

Parole dicevamo che sono: Consapevolezza in quanto il disabile deve essere consapevole delle proprie forze ma anche dei propri limiti e l’azienda deve essere consapevole di questi aspetti. Inclusione che non significa semplicemente inglobare le persone all’interno di un’organizzazione ma garantire a tutti la propria unicità e plasmarla affinché si crei un ecosistema che funzioni a regime. Opportunità in quanto il disabile ha l’opportunità di mettersi in gioco e lo stesso vale per l’azienda che ha la possibilità di diversificare le proprie risorse umane. Infine, Valore in quanto la persona disabile è un valore aggiunto che porta valore, anche economico, all’azienda.  

 

Diventa quindi necessario abilitare la disabilità. Le diversità possono fare la differenza in termini di creatività, innovazione, business e quindi diventano una risorsa da valorizzare non solo per adempiere a obblighi normativi ma anche come strumento per aumentare la competitività dell’impresa e le possibilità di successo. Ogni singolo individuo può portare un valore unico in azienda e contribuire alle sue performance.

 

I datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti a fornire gli strumenti giusti per consentire ai lavoratori con disabilità di esprimere al meglio le proprie competenze ed essere produttivi. Si tratta di misure personalizzate a seconda delle esigenze della persona e della situazione lavorativa, che vanno dall’abbattimento delle barriere architettoniche e sensoriali nei luoghi di lavoro, all’utilizzo di ausili e tecnologie assistive, fino all’adattamento dei ritmi di lavoro, ricorrendo per esempio allo smart working.

 

Ma non solo, anche i pregiudizi giocano la loro parte. È necessario abbattere le barriere relazionali con i colleghi, il team e i manager per creare un ambiente di lavoro sano e costruttivo.

 

L’approccio del diversity/disability management è ancora appannaggio di grandi aziende e multinazionali che hanno compreso il valore aggiunto della diversità ai fini di un maggiore benessere dei dipendenti, ma anche in termini di business.

 

COSA NE PENSANO I MANAGER DI TUTTO QUESTO?

Alcuni dati salienti emergono dalla ricerca realizzata da Astraricerche per Manageritalia “I manager e la gestione dei lavoratori con disabilità” promossa da Aism (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), Manageritalia, Prioritalia e Osservatorio Socialis.

 

Per due terzi dei manager italiani la presenza di un lavoratore disabile in azienda non costituisce un ostacolo ma porta a un miglioramento organizzativo. È, infatti, un’occasione per ripensare il lavoro, distribuendo i compiti in modo più equo, riorganizzando spazi e dotazioni tecnologiche in modo più razionale, sviluppando nuove modalità di impiego, come il telelavoro e lo smart working. Quindi più consapevolezza ed efficienza nei processi.

 

Non solo, secondo l’88,2% del campione intervistato avere personale con disabilità produce un impatto positivo per le stesse capacità manageriali, perché porta i dirigenti a organizzare le attività in maniera più efficiente, a semplificare i processi e a valutare meglio le persone. Secondo la maggioranza degli intervistati, inoltre, la gestione della disabilità andrebbe affidata a un diversity o capability manager, quindi inserita all’interno di una strategia più ampia dedicata alla diversità in azienda.

 

“Nessuno può essere libero se costretto ad essere simile agli altri”

Oscar Wilde

 

Tra i miglioramenti e gli aiuti suggeriti per evolvere troviamo informazione, competenza e cultura: per il 74,8% è importante la promozione di momenti informativi e formativi di tutto il personale sulla disabilità in azienda.

 

Per il 76,2% dei manager di oggi e di domani è indispensabile la gestione delle tematiche legate alla disabilità in azienda e queste impattano già oggi e ancor più in futuro sul miglioramento delle performance aziendali (65,2%). Infine, per l’82,6% le competenze ed esperienze di associazioni non profit che si occupano di persone con disabilità possono contribuire a una maggiore conoscenza e informazione sulla gestione della disabilità in azienda.

 

L’INCLUSIONE COME FATTORE DETERMINANTE PER LA REPUTAZIONE AZIENDALE

Partiamo da questo dato: il 74% per cento degli italiani privilegia marchi che portano avanti azioni di valorizzazione delle diversità. Un dato che traccia la strada della responsabilità sociale d’impresa (CSR): se un’azienda è attenta alla valorizzazione delle diversità (di età, genere, disabilità, nazionalità ed etnia) non solo aumenta il valore della propria immagine ma anche i propri profitti.

 

Una ricerca condotta da Focus Management in collaborazione con l’associazione Diversity ha messo in luce come il 51% dei consumatori scelga con convinzione brand inclusivi e un ulteriore 23% nel percorso di scelta preferisca brand che investono sulla D&I: complessivamente parliamo di 3 italiani su 4.

 

Confrontando due aziende simili tra loro, una che investe sulla D&I e l’altra che non lo fa, il gap tra la crescita dei ricavi delle due aziende può superare il 20% (era il 16,7% nel 2018) a favore dell’azienda più inclusiva, che può godere anche di una migliore reputazione aziendale.

 

C’è quindi ancora un enorme potenziale da poter e dover sfruttare subito perché il futuro è già oggi.

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